martedì 2 febbraio 2010

Quel grande statista di Bettino

«Vi sono molti italiani per cui il caso Craxi è ancora, e deve restare, esclusivamente giudiziario. [...] Credo che commettano un errore. Non possiamo ridurre la vita di Craxi al suo epilogo giudiziario» (Sergio Romano, Corriere della Sera, 18 gennaio 2010).
Lasciamo quindi da parte le due condanne in via definitiva, a cui faremo soltanto un breve accenno alla fine dell'articolo, e parliamo del Craxi “statista”.

Politica economica:
Il periodo di massima influenza di Bettino Craxi si può individuare dalle elezioni del 1979 a quelle del 1992. Nel 1980 il rapporto debito/Pil è pari al 56,6%, nel 1992 è praticamente raddoppiato, arrivando a 105,2%. Cos'è successo nel frattempo? Alla fine degli anni Settanza il livello del debito pubblico aveva raggiunto quote considerevoli; Craxi, salito al potere, avrebbe dovuto - da “grande statista” - far scendere la spesa al di sotto delle entrate tributarie: solo in questo modo si sarebbe stabilizzato il rapporto debito/Pil. Ebbene, la direzione intrapresa dall'allora Presidente del Consiglio fu opposta, e la spesa continuò a salire (dal 36,9% del Pil nel 1980 al 41,7% nel 1983, stabilizzandosi intorno al 42-43% nel 1992), nonostante all'epoca ci si trovasse dinanzi a condizioni favorevoli nel ciclo internazionale, che avrebbero permesso di ridurre le spese senza alcun contraccolpo nella politica interna.
L'unica spesa che si andò a ridurre fu quella destinata alle paghe dei lavoratori: il 14 febbraio 1984 infatti un decreto del governo Craxi, in seguito convertito nella legge 219/1984, abolì la “scala mobile” - l'aumento della retribuzione da lavoro in accordo all'aumento del costo della vita - la quale permetteva che rimanesse costante il potere d'acquisto. Che la manovra fosse o meno necessaria, per ragioni di bilancio, economisti e politici ne hanno discusso a lungo (e ne discutono tuttora); colpisce tuttavia che, in un periodo in cui la corruzione era già molto diffusa anche in ambienti politici, si cercò di risolvere il problema - causato in larga parte proprio dalle tangenti - aggravando il peso sulle spalle di lavoratori che agivano nella piena legalità, e non invece combattendo l'illegalità, ad esempio nella gestione dei subappalti che portava ad un aumento vertiginoso del costo per qualsiasi costruzione in suolo italiano (per maggiori informazioni si veda il capitolo “condanne”). Il denaro mangia se stesso, in una spirale sempre tesa al raggiungimento di una maggiore ricchezza.
Un'altra “soluzione” viene trovata nell'aumento delle imposte dirette, che porta ad un corrispondente aumento del Pil (da 31,4% a 41,9%, dal 1980 al 1992). La spesa però cresce ancora, e nei quattro anni di Craxi alla presidenza del Consiglio il rapporto debito/Pil aumenta di 20 punti, giungendo nel 1987 al 88,5% e al 105,2% nel 1992, anno dell'inizio di Tangentopoli e della discesa politica di Craxi (fino ad allora rimasto in posizioni di potere: erano gli anni del CAF).

Politica interna:
Tra le sue “grandi riforme”, spicca il rinnovo del concordato con la Chiesa (datato 18 febbraio 1984). Ma è stato veramente merito suo? A leggerlo, lo spirito laico da dirigente del PSI non emerge affatto (basti dare un'occhiata all'articolo 9 comma 1, dove di fatto si apre la strada ai finanziamenti pubblici alle scuole cattoliche - quindi private). Il nuovo Concordato, come rivela “La Stampa”, era già pronto prima del suo arrivo alla presidenza del Consiglio e da lui è stato solo firmato: a dimostrarlo un protocollo del 1976 sottoposto da Aldo Moro a Pietro Nenni, il quale è stato alla base - senza che ne venissero minimamente cambiate le linee guida - del nuovo concordato siglato da Craxi. «Non ho mai avvertito la presenza di Craxi se non al momento della firma», testimonia poi Lajolo il quale si è occupato, insieme al cardinale Agostino Casaroli, della revisione del concordato. Potremmo dire, con piglio satirico, che di questa riforma Craxi sia stato un semplice prestanome; ma ci sarebbe ben poco da ridere.
Da non dimenticare poi il più grande condono che la storia italiana ricordi (anche questo volto a racimolare un po' di denaro, visti gli sperperi figli di un sistema corrotto come quello dell'Italia craxiana), una vera e propria legalizzazione degli abusi edilizî, a firma di Nicolazzi nel 1985. Se non altro perché, visto il suo lungo e tortuoso iter parlamentare, nell'attesa che la legge venisse promulgata (un anno e mezzo) nel Bel Paese sono sorte un milione di nuove costruzioni abusive.
Infine la legge Mammì (legge 223/1990), con cui le tv dell'allora imprenditore Silvio Berlusconi, le quali trasmettevano illegalmente su tutto il territorio nazionale, sarebbero state messe a norma. Legge bocciata dalla Corte Costituzionale (con sentenza 5-7 dicembre 1994, n.420) a causa dell'incostituzionalità dell'art. 15, quarto comma («Le concessioni in ambito nazionale riguardanti sia la radiodiffusione televisiva che sonora, rilasciate complessivamente ad un medesimo soggetto, a soggetti controllati da o collegati a soggetti i quali a loro volta controllino altri titolari di concessioni, non possono superare il 25% del numero di reti nazionali previste dal piano di assegnazione e comunque il numero di tre»), nella parte relativa alla radiodiffusione televisiva: vìola infatti il principio pluralistico espresso dall'articolo 21 della Costituzione. Ma a qualcosa questa legge è servita: il “grande statista” Craxi ha infatti intascato, sui conti constellation financiere e northern holding - entrambi gestiti da Giorgio Tradati - una tangente di 21 miliardi versata dallo stesso Berlusconi.

Politica estera:
Riguardo i rapporti con i paesi esteri resta la “crisi di Sigonella” del 1985, ultimo segnale di netta contrapposizione al governo degli Stati Uniti da parte di quello italiano. Un segnale forte, visto di buon occhio da chiunque mal sopporti la politica imperialistica americana. Ma quant'è vera e profonda questa rottura con gli USA? Da un fascicolo riservato del Sisde, datato 12 giugno 1980 (quando il Psi era già da 4 anni nelle mani di Craxi) e pubblicato dall'Espresso il 7 gennaio 1994, viene riportato una vicenda interessante: prima dell'arrivo di Jimmy Carter - all'epoca presidente degli Stati Uniti - in Italia, la Cia si occupa di acquisire notizie riguardanti l'assetto politico italiano; da una «fonte solitamente bene informata» emerge che Claridge e Healy, due funzionari della Cia, si sono mostrati molto interessati riguardo il «ruolo del Psi nella situazione politica attuale». Questo particolare interessamento viene giustificato, dal Sisde, con i «consistenti aiuti da parte americana verso il Partito Socialista Italiano». Fino a che punto si può quindi parlare di opposizione all'America, se questi sono i presupposti?

Condanne:
Passiamo ora ai procedimenti giudiziarî: Craxi è stato condannato in via definitiva a 5 anni e 6 mesi di reclusione il 12 novembre 1996 - ma da luglio 1995 era latitante ad Hammamet - per le tangenti (17 miliardi di lire) pagate alla Sai nell'aprile 1992 per aggiudicarsi in monopolio l'assicurazione di oltre 120 mila dipendenti dell'Eni.
Inoltre è stato condannato (sempre in via definitiva) a 4 anni e 6 mesi il 20 aprile 1999 per le corruzioni e i finanziamenti illeciti negli appalti della metropolitana milanese e del Passante ferroviario.
N.B. In quegli anni per costruire un km di metropolitana a Milano ci volevano 192 miliardi, ad Amburgo 45.

Che quest'accenno serva da memorandum: perché se è pur vero che «non si può ridurre la vita di Craxi al suo epilogo giudiziario», è anche vero che quest'epilogo non lo si può ignorare completamente. E magari dedicare al “grande statista” una via.

domenica 20 dicembre 2009

“Il Dio Toth”, intervista a Massimo Fini

«I personaggi di questa storia sono inventati. I messaggi dei media sono autentici.»
Così Massimo Fini nella seconda di copertina del suo primo romanzo, “Il Dio Toth”, edito da Marsilio (pp. 192, 15 €). È lo sconcerto ad assalire il lettore, fin dalle prime pagine; la domanda che si pone invece, proseguendo via via nella lettura, è la seguente: nel momento in cui pretendiamo di informarci tramite terzi, non essendo direttamente a contatto con il fatto, quali possono essere le conseguenze? Se è vero, come scriveva Bonaventura Zumbini, che «la verità è un po' dappertutto, ma dappertutto esagerata ed offuscata», come orientarsi? Proprio la vicinanza di Massimo Fini al mondo dell’informazione rende questa testimonianza – seppur traslata nel contesto romanzesco – così importante per chi voglia dare una risposta a questi interrogativi.

Nel suo romanzo il personaggio della Grande Mousse sostiene che il giornalista ha non solo il compito di informare, ma anche quello di formare. Lei dà a quest’ultimo termine un’accezione negativa, forse anche perché la Grande Mousse oltre ad avere il potere dell’informazione detiene il potere politico…
Sì, formare il cittadino è tipico di ogni Stato autoritario, sostanzialmente; il famoso Stato etico, dove lo Stato si occupa anche delle cose private del cittadino, della moralità del cittadino,… E quindi in questo senso informare nella bocca del capo del giornale, che poi è anche il capo del paese, ha ovviamente un’accezione negativa.

Sì ma il giornalista nella scelta delle notizie, nei commenti che accompagna alle stesse notizie, filtra tutto attraverso il proprio pensiero, dando quindi anche una visione del mondo che è la propria.
Fino ad un certo punto, perché per quanto possa sempre essere tutto molto opinabile (un bellissimo film giapponese, “Rashōmon”, fa vedere come lo stesso fatto visto da 5 persone diverse abbia 5 interpretazioni diverse) in relativo i fatti restano i fatti: quindi se tu vedi uno che sta pugnalando un altro questo devi scrivere. Nella cronaca il margine di interpretazione è relativo.

Dico questo perché leggendo diverse testate di opposti orientamenti politici sembra di essere dinanzi a delle italie completamente diverse l’una dall’altra…
Sì, anche perché qui si parla di politica: siccome la politica è fatta di parole e non di fatti, è chiaro che si possono dire le cose più diverse, contrastanti nel modo più totale, e nessuno ha torto e nessuno ha ragione. È uno dei “viz
î” della democrazia, che è fatta sostanzialmente di parole.

Un altro tema cardine del suo libro è la teoria secondo la quale la troppa informazione è in realtà solamente illusione di essere informati…
La troppa informazione uccide l’informazione. Questo vale non solo per l’informazione, ma per tutto. È quello che ti insegnano al primo anno di economia: un cucchiaio di minestra ti salva dalla morte per fame, due ti fanno stare un po’ meglio, tre ti fanno star bene, il centesimo ti uccide. L’eccesso di informazione finisce per passarti attraverso e alla fine tu non ritieni nulla, un po’ come in quel mondo che io descrivo, che non è troppo lontano da quello di oggi.

E proprio a questo volevo arrivare: attraverso la televisione prima e internet poi sembra si stia giungendo a questa situazione: un mondo nel quale si è sommersi da messaggi e da informazioni senza che in realtà rimanga nulla all’interno della persona.
Rimane molto poco. Ci fu un’interessante inchiesta fatta negli Stati Uniti tanti anni fa in cui venivano messi a paragone ragazzi che avevano vissuto nell’era pre-televisiva e ragazzi che invece vivevano nell’era televisiva. Non solo la qualità ma anche la quantità di informazioni ritenute dai secondi era inferiore a quella nei primi; una cosa che ti dice tuo nonno ti rimane in testa tutta la vita, centomila informazioni – anche per una questione di difesa – ti passano attraverso, perché se dovessi ritenerle tutte non vivresti più.

Sempre nel romanzo lei tratteggia due figure che possono essere in qualche modo positive: quella degli uninformed (individui che vivono ai margini del mondo “civilizzato” a cui non arriva alcun tipo di informazione, ndr) e quella di Matteo, il protagonista (un giornalista che ben presto si accorge di trovarsi in un sistema malato, ndr). Lei le ritiene soluzioni valide? L’isolamento è possibile in questo mondo ed è una soluzione accettabile, che può portare a qualcosa di positivo?
È possibile a prezzo dell’isolamento, perché in questo modo si diventa in qualche modo un disadattato; come lo è Matteo, che pur sostiene col suo lavoro quel sistema che poi ad un certo punto capisce essere tutta fuffa. È un po’ il problema, trasportando alle piccole cose, che ogni genitore si pone con i figli: faccio vedere loro la televisione così li cretinizzo o non gliela faccio vedere ma ne faccio degli spostati nell’ambiente in cui devono vivere?

Bel dilemma… Lei non mi pare abbia scelto comunque la strada della disinformazione più totale: è direttore politico di un mensile da oltre un anno (“La Voce del Ribelle”), collabora a “il Fatto quotidiano”,…
La mia scelta è in un certo senso contraddittoria… io nell’informazione ci lavoro, anche se si tratta di un’informazione più laterale, più marginale. Il problema è: o sto muto oppure parlo anche per dire questo. Pure su “la Voce del Ribelle” l’ho detto: noi utilizziamo – cercheremo di utilizzare – internet e questi mezzi ma l’obbiettivo è poi abbattere internet.

Lei in qualche momento mi pare un po’ sospeso tra il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà, che a volte sono in contrasto l’uno con l’altro…
Sono totalmente in contrasto tra loro; io ho una visione pessimistica del futuro, questa però non può essere l’atteggiamento di un giovane (i ragazzi che mi seguono hanno più o meno la tua età, 20, 25, 30 anni). Quindi anche la “Voce del Ribelle” e il movimento che ho creato (Movimento Zero,
ndr) vogliono tentare di dare uno sbocco positivo, anche contando sul fatto che i giovani – per quello che riguarda il mio pensiero – non lo ripetono in modo talmudico ma lo rielaborano a modo loro e secondo le esigenze, perché comunque un ragazzo di vent’anni non può pensarla come un uomo di sessanta. Scrive Nietzsche: «non fa onore al suo maestro chi rimane sempre di secolo».

Lei ha sempre mantenuto un atteggiamento di denuncia verso la società che le magnifiche sorti e progressive hanno portato. Se lei dovesse dare un consiglio a un ragazzo di vent’anni, dal momento che le prospettive non sembrano delle più rosee, gli consiglierebbe di lottare avanti come ha fatto anche lei stesso?
Sì, io direi – se ci si crede – di fondere idee di questo genere, idee che sono anti-moderniste ma non per questo non attuali: la modernità quando è nata ha creato delle grandi speranze, ma ora ha fallito. io non colpevolizzo gli illuministi, Adam Smith o Marx, ma a due secoli e mezzo di distanza questo modello in realtà fa star più male che bene, anzi riesce a far star male anche chi sta bene: tant’è vero che fenomeni come depressione e nevrosi sono diffusi più fra i ceti abbienti che in quelli meno abbienti e sicuramente nel mondo occidentale più che nelle società tradizionali…

…e come ha scritto ne “La ragione aveva torto”, più nelle società moderne che in quelle pre-industriali.
Esatto. Ora non si tratta di ritornare al mondo delle caverne, ma di prendere dalle società che ci hanno preceduto alcuni insegnamenti di cui ci siamo completamente dimenticati. La civiltà greca aveva un profondo senso del limite che noi abbiamo perduto; i greci avevano una teoria della meccanica (attraverso Pitagora e Filolao) tramite la quale avrebbero potuto costruire macchine molto simili alle nostre, non lo fecero perché intuirono che andare a replicare la Natura era pericoloso. Molta parte dei loro miti dice questo: che il delirio di potenza dell’uomo – l’hybris – provoca la fthonos theòn, ovvero l’invidia degli dei e l’inevitabile punizione. Naturalmente qui siamo a livello mitico ma il senso è chiaro: l’uomo dev’essere in grado di auto-limitarsi sennò va incontro all’autodistruzione. Il frontespizio dell’oracolo di Delfi era “mai niente di troppo”. Dovremmo quindi riprendere alcune suggestioni del passato per correggere in modo molto radicale la società del presente, per riportare al centro della vita l’uomo e non l’economia o la tecnologia, le quali hanno avuto sempre una parte marginale nella vita dell’umano fino alla fine della rivoluzione industriale.

Lei ha fiducia nell’uomo?
Da una parte non ho fiducia nell’uomo, dall’altra lo vedo come un essere estremamente dolente, perché è l’unica creatura vivente consapevole in modo lucido della propria inevitabile fine. Per cui ci sono due elementi: l’uomo è sì condannato dalla sua stessa struttura (prendiamo appunto la conoscenza: l’uomo è portato a conoscere ma poi la conoscenza finisce per ritorcersi contro di lui; basti pensare a tutte le invenzioni che abbiamo creato, straordinarie sotto certi aspetti, che ci sono venute contro, alla fine); ma d’altro canto questa è la condizione dolorosa di un essere com’è l’essere umano. Chi lo ha inventato dovrebbe essere impiccato.

(intervista rilasciata venerdì 20 novembre 2009)

domenica 15 novembre 2009

Colpevole? No, prescritto!

Processo Mills: perché Mr. B non verrà condannato

Premessa: ho iniziato a raccogliere il materiale per l’articolo all’incirca un mese fa, quando ancora parlare dei diversi “piani” con i quali Silvio Berlusconi avrebbe potuto evitare i suoi processi era un tabù. Ad oggi l’argomento è invece dei più scottanti, tutti i quotidiani lo trattano e persino i tg non possono evitare di aprire gli occhi. Certo, c’è modo e modo di parlarne, e mostrando il tutto come semplice prassi governativa (come se Parlamento e Senato dovessero farsi dettare l’agenda dai processi al premier-imputato) si finisce col guardare le vicende come l’ennesimo capitolo di una guerra – quella fra politica e magistratura – iniziata nel lontano 1992, con Mani pulite. Ma veniamo ai fatti…

In seguito alla conferma della condanna nella sentenza d’appello, in attesa del definitivo verdetto della Cassazione (previsto entro l’aprile 2010), l’Italia intera – o almeno, quella parte che ancora ha il coraggio di leggersi un giornale la mattina – si interroga sul futuro giudiziario dell’avvocato David Mills e del suo illustre coimputato, il Presidente del Consiglio.

Verrà condannato? Verrà assolto? Domanda semplice: il reato sarà prescritto. Termine che per il premier ed il suo stalinista apparato d’informazione equivale ad «assolto» (in questo il telegiornale Studio Aperto ha anticipato persino lo stesso Berlusconi, arrivando a dire per bocca di Luigi Galluzzo, già il 19 maggio 2009: «nel giorno in cui escono le motivazioni del processo Mills in cui Berlusconi fu assolto…»).

Ed ora ecco le (numerose) cause che porteranno ad una inevitabile prescrizione. Prima di tutto, il lodo Alfano. Sebbene la Corte l’abbia ritenuto incostituzionale, questo non esclude la sua decisiva influenza sul processo a Mr. B: i tre giudici che hanno condannato David Mills quale teste corrotto nell’interesse di Berlusconi – ovvero Gandus, Dorigo e Caccialanza – avendo appunto espresso un parere analogo riguardo ai medesimi fatti imputati al premier nello schema corrotto-corruttore, sono divenuti per legge «incompatibili» a giudicare lo stesso Presidente del Consiglio. Il processo, con i tre nuovi giudici designati, non ricomincerà dal punto in cui lo si è lasciato: la difesa, infatti, ha diritto a richiedere che tutte le testimonianze, le rogatorie all’estero e le prove assunte in quasi due anni di processo (dai vecchi giudici), siano raccolte nuovamente (dai nuovi giudici). A differenza del processo, però, i tempi di prescrizione (nonostante fossero stati «congelati» dal lodo) non si sono azzerati. Se 2+2 dà 4, è facile immaginare come la prescrizione, il cui tempo entro il quale scatterà è stato dimezzato per mezzo della legge ex Cirielli (legge n. 251 del 5 dicembre 2005, approvata durante il terzo governo Berlusconi), diventi un traguardo quanto mai facile.

Ma non è finita qui. Perché, allo stato attuale delle cose, nel caso in cui si arrivasse ad una condanna definitiva per Mills, il dibattimento nel processo a Berlusconi non sarebbe granché lungo: il giudice dovrebbe soltanto dimostrare se il premier ha dato o meno l’ordine di pagare il coimputato, e tutto finirebbe lì (in quanto il reato, ovvero la mazzetta versata dalla Fininvest a Mills, sarebbe già dimostrato). C’è il rischio, insomma, che pur con la legge Cirielli e con il meccanismo già spiegato scattato in seguito al lodo, si raggiunga un verdetto per Mr. B.
Ed ecco che entrano in gioco gli avvocati del premier, nonché deputati nelle file del pdl, ideando una norma che negherebbe alle sentenze il valore di prova, contenuta all’interno della riforma del codice penale.

Tutto ciò probabilmente basterebbe, ma è sempre meglio andare sul sicuro: negli ultimi giorni i legali del premier si sono sbizzarriti per trovare diverse nuove soluzioni, nel caso in cui alcune di esse vengano bocciate dalla maggioranza (diversi uomini della fu An hanno spesso mostrato di non apprezzare alcune norme ad personam). Ghedini ha così pensato ad un ulteriore taglio ai tempi di prescrizione (per la precisione di un quarto, relativi ai reati con una pena prevista inferiore a 10 anni e commessi prima del 2 maggio 2006: occorre forse precisare che nella categoria rientra anche il processo per corruzione di Berlusconi?) incontrando però l’ostilità dei finiani, preoccupati forse dagli effetti nefasti che una norma del genere porterebbe al sistema giudiziario.

Alfano, dopo essersi consultato con Longo e Ghedini, trova un’altra possibile soluzione, rivelata da Dino Martano sul Corriere della Sera del 29 ottobre: fissare un tetto di tre anni per il primo grado di giudizio; di due per l’appello; di uno per la Cassazione.
Conclude il giornalista: «con la prima o con la seconda soluzione, lo stralcio Berlusconi del processo Mills sarebbe già prescritto».
La strada da seguire per salvare il Presidente del Consiglio si è infine trovata, mettendo d’accordo Berlusconi e Fini: porre un limite di due anni per ogni grado di giudizio (il che rende ugualmente valida la valutazione finale di Martano) nel caso in cui l’imputato sia incensurato. Maliziosamente si potrebbe notare come il Presidente del Consiglio, grazie a sei prescrizioni (senza contare i diversi processi da cui è uscito illeso grazie ad altrettante norme ad personam), sia un incesurato, e goda perciò di questo ulteriore taglio ai termini di prescrizione: così facendo salterebbe, oltre al procedimento Mills, quello per i fondi neri Mediaset.

«Sarebbe assurdo e illogico – rivela Mills parlando del processo che lo vede unito a Berlusconi – se uno fosse condannato e l’altro assolto: o tutti e due colpevoli o innocenti, vista la natura dell’accusa di corruzione». Condanna o assoluzione? A quanto pare, mentre all’avvocato inglese toccherà (se la sentenza verrà confermata in Cassazione) la prima sorte, il secondo – più fortunato – verrà assolto.
Nel dizionario berlusconiano, ovviamente.

mercoledì 4 novembre 2009

Un nuovo inizio

Chiedo innanzitutto venia a chiunque sia rimasto deluso dal fermarsi dell'attività del blog: questo è un effetto collaterale degli studi universitari. Da ora però, a cadenza mensile, tornerò a battere sulle 26 lettere della tastiera, motivato anche dalla pubblicazione di un nuovo blog-giornale (il suo nome dovrebbe essere Pot-pourri, visto il gruppo politicamente e culturalmente eterogeneo dei suoi collaboratori).
Mi auguro lo seguiate numerosi, a presto con nuovi aggiornamenti (e soprattutto, con il link del sito)!

Aggiornamento: il link è http://p0tp0urri.blogspot.com/
buona lettura!

martedì 18 novembre 2008

I nostri soldi? Alle imprese

Oggi, 18 novembre, durante la seduta del Senato, è stato approvato un emendamento proposto dai deputati del pdl Massimo Baldini Valter Zanetta e Luigi Grillo, riguardante gli articoli 19, 20, 21 e 22 dell'articolo 3 della legge 24 dicembre 2007 numero 244 (il resoconto della seduta è consultabile all'indirizzo http://www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/Ddliter/testi/31212_testi.htm).
In sostanza, viene reintrodotta la figura dell'arbitro all'interno delle cause fra ente pubblico e società privata. Ma qual è più precisamente il compito dell'arbitro? E soprattutto, quali sono state le conseguenze le scorse volte in cui questa stessa legge è stata approvata, sempre dal governo Berlusconi?
1) Gli arbitrati sono una strada alternativa a quella della più lenta causa civile, in cui due arbitri (uno nominato dall'accusa, l'altro dalla difesa) si accordano su di un lodo che dovrebbe contenere la soluzione al caso più appropriata.
2) Stando ai dati del presidente dell'Autorità per la vigilanza dei lavori pubblici Luigi Gianpaolino, con questo sistema lo Stato ha perso il 94,6% dei casi in cui è stato coinvolto, a vantaggio delle imprese private, che negli anni in cui la norma è stata attiva hanno intascato ben 715 milioni di euro. E chi ha pagato? Lo Stato, ovvero i contribuenti, quindi noi cittadini. Un'altra 50ina di milioni di euro, poi, sono stati dati (sempre dallo Stato, ci mancherebbe altro) agli stessi arbitri per il loro "eccelso" lavoro.
Ma non è finita qui: questa volta l'emendamento contiene anche una sorta di obbligo nell'uso degli arbitrati: infatti se l'ente pubblico e l'impresa privata non si accorderanno entro un mese, si andrà dritti alla composizione arbitrale senza più passare per le procedure previste nelle scorse leggi. Che motivo avrebbe poi l'impresa, vista la grande possibilità di vittoria (94,6%), di accordarsi prima?
Nessuno, appunto.

lunedì 27 ottobre 2008

Aggiornamento sull'incostituzionalità del lodo Alfano

Ne avevo già parlato in parte nello scorso intervento, attraverso le dichiarazioni del premier e del guardasigilli. Molti si saranno chiesti: com'è finita? Il lodo Alfano è stato giudicato dalla Corte Costituzionale? Ho ben pensato di chiederlo a Luigi Ferrarella, cronista giudiziario del Corriere della Sera. Vi riporto qui di sotto la mia domanda:

Salve, le scrivo per chiederle soltanto un'informazione. Rileggevo un suo articolo del 27 settembre di quest'anno pubblicato sul "Corriere della Sera", e mi trovo a chiedermi quale sia stato alla fine il parere della Consulta sull'incostituzionalità del lodo Alfano. Pur leggendo il Corriere quotidianamente, questa notizia dev'essermi scappata (o forse non è nemmeno stata pubblicata).
Le chiedo gentilmente di darmi qualche informazione a riguardo, e colgo l'occasione per farle i più sentiti complimenti per il lavoro che porta avanti.

Cordialmente




ed ecco la risposta:

Non le è scappata, è che tra quando un Tribunale demanda alla Consulta una questione su una legge e quando la Corte Costituzionale la decide, passano sempre molti mesi. Nel caso specifico, non soltanto non c’è decisione ma allo stato non è stata neanche messa in agenda, non c’è ancor una data. Sicuramente, ormai, sarà comunque l’anno prossimo.

Distinti saluti


pubblico la notizia a puro scopo informativo, dal momento che in molti mi hanno chiesto informazioni a riguardo...

venerdì 3 ottobre 2008

Dichiarazioni

Nell'ultima settimana l'amico Silvio Berlusconi, il deputato nonché avvocato del premier Niccolò Ghedini e il ministro della Giustizia (?) Angelino Alfano hanno rilasciato alcune dichiarazioni che meritano come minimo un'attenta osservazione. Cominciamo con ordine:

27 settembre:
l'argomento del giorno riguarda la Corte costituzionale, la quale decide di rispedire la legge Alfano al vaglio della Consulta (ricordiamo che proprio la Consulta nel 2004 bocciò come incostituzionale il lodo Schifani). Il deputato Ghedini afferma: «Niente di nuovo a Milano, è l'ennesima decisione sbagliata di giudici che si ribellano a certe normative».
Forse l'avvocato non conosce bene l'articolo 136, il quale afferma: "quando la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione". A cosa si dovrebbero ribellare, quindi? Non ritengo siano necessarie altre parole per commentare l'accaduto.

28 settembre:
si parla sempre della legge Alfano e del suo passaggio al vaglio della Consulta, stavolta è il premier a parlare: «Sono assolutamente convinto che passerà al vaglio della Corte», ma in caso contrario «servirebbe una profonda riflessione sulla giustizia...».
E qui siamo passati alle minacce e alle intimidazioni... Ma andiamo a vedere come mai questa legge dovrebbe essere ritenuta (dalle solite toghe rosse) incostituzionale: a prima vista si può notare come la suddetta sia in modo lampante in contrasto con gli articoli 3 ("Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge...") e 112 ("il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale") della Costituzione italiana. Ad un'osservazione più accurata, poi, verrebbe da chiedersi come mai il premier abbia preferito optare per una legge ordinaria piuttosto che per una costituzionale (essendo una norma di rilevanza costituzionale sarebbe dovuto essere quest'ultimo l'iter appropriato). Ricordate il processo Berlusconi-Mills? Una legge ordinaria, essendo molto più veloce di una costituzionale, ha permesso che esso venisse bloccato all'istante, senza giungere all'ormai vicino termine.

1 ottobre:
è sempre Berlusconi a parlare: «è mia intenzione procedere quanto più possibile con i decreti legge, contando anche sulla fiducia della mia maggioranza». Decreti legge per i quali non è nemmeno prevista l'approvazione del Parlamento (almeno nei primi 60 giorni) e che sono così attivi da subito. Un modo come un altro per indebolire il potere dello stesso Parlamento, a vantaggio del proprio; a tal punto che lo stesso presidente della Camera Gianfranco Fini ha espresso più di una perplessità per l'annunciato abuso dei dl.

2 ottobre:
ancora il premier: «Dobbiamo riacquistare la libertà di non essere insultati e sottoposti al pubblico lubidrio in trasmissioni che non sono condotte in modo imparziale, dobbiamo recuperare la dignità del nostro ruolo di governo». Pertanto né ministri né tanto meno esponenti del pdl dovranno essere presenti nei talk show. Eppure il casus belli sembra essere la puntata di "porta a porta" del 30 settembre, con ospiti Antonio Di Pietro, Rosy Bindi, Maurizio Gasparri e Denis Verdini. Lo stesso "porta a porta" in cui il conduttore, Bruno Vespa, si presta a baciamano nei confronti di Berlusconi. Fatico pertanto a pensare che la trasmissione sia stata condotta in modo parziale. Se davvero poi gli esponenti del pdl dovessero ascoltare il premier, non si farebbe altro che impedire al popolo italiano di assistere al confronto fra maggioranza e opposizione dal quale dovrebbero tirare fuori le giuste conclusioni.